Pubblicato su "Sub", Novembre 2002
di Eva Bacchetta e Lorenzo Del Veneziano
Foto
Subacquee: Lorenzo Del Veneziano - Foto di Terra: Rizia Ortolani e Pietro
Dimagli
Un
particolare ringraziamento all'Ufficio Storico della Marina per la collaborazione
e le informazioni fornite.
Non
esiste esperienza tale che dia i brividi come attraversare a nuoto un
relitto sommerso.
Ad una visione superficiale, gli scafi di navi affondate possono sembrare
un insignificante mucchio di ferro arrugginito,ma se si guarda a fondo,
attentamente, in ogni parte di lamiera, in tutto ciò che resta,
si può leggere parte della sua storia. A seconda di quanto siano
note le vicende storiche a chi li sta esplorando, possono trasmettere
forti emozioni e rappresentare qualcosa di molto affascinante e di notevole
valore.
Si può avvertire e a volte visualizzare la presenza dei fantasmi
di coloro che vissero a bordo e morirono senza che alcuno ne registrasse
la fine.
In quel mondo ovattato, che è il fondo del mare, le correnti, la
visibilità a volte scarsa, il silenzio rotto soltanto dal sibilo
dell'erogatore, contribuiscono ad aumentare questa sensazione di irrealtà
soprannaturale.
Così è successo a noi, quando in una fredda giornata d'autunno,
siamo scesi sul relitto di quello che successivamente si è rivelato
essere un cacciasommergibili, affondato nelle acque antistanti il golfo
di Genova......
La Prua del Vas
"Colpisce
tutta la Liguria la morte che viene dal cielo, i bombardamenti a tappeto
devastano i centri abitati" Così titolava una pagina del Secolo
XIX dell'anno 1944, quando i bombardamenti alleati inflissero gravi danni
e provocarono ingenti perdite umane al capoluogo Ligure e alle zone limitrofe.
Era un giorno imprecisato del settembre del 1944, quando il comandante
del VAS di costruzione italiana, caduto in mano tedesca dopo l'armistizio
del 11 settembre del '43, colpito dai grappoli di bombe sganciate dagli
anglo-americani, diede ordine di abbandonare le nave, prima di inabissarsi
con la sua nave su un fondale sabbioso e lì restare silenzioso
per più di sessant'anni.
All'entrata in guerra dell'Italia a fianco della Germania, il 10 giugno
del 1940, la Marina Italiana aveva in servizio quarantasei MAS di tipo
moderno, affiancate da circa quindici unità di tipo superato.
Nel novembre del 1940 lo Stato Maggiore della Marina ordinò al
comitato dei Progetti navali l'elaborazione di uno studio per la realizzazione
di un tipo di cacciasommergibili con stazza di circa 100 t. e velocità
di 18/20 miglia, di costruzione semplice ed economica, da riprodursi in
larga serie.
Tale decisine derivava dal fatto che le unità italiane si erano
rivelate inadeguate ad operare in condizioni di mare sfavorevole. Nel
gennaio del 1941, dopo consultazioni con la Marina Tedesca, lo Stato Maggiore
ordinò la progettazione di due diversi tipi di cacciasommergibili.
L'uno di stazza 600 t., da impiegarsi in mare aperto, prevalentemente
di giorno contro sommergibili in immersione, l'altro con stazza di circa
100t. per l'impiego prevalentemente notturno contro sommergibili in emersione
nelle acque costiere.
Nacquero così le "motovedette antisommergibile" ( VAS
).
Nella primavera dello stesso anno i Cantieri Baglietto di Varazze progettarono
un cacciasommergibili di circa 68 t. di evidente ispirazione dei motosiluranti
"Orjen" catturati in Yugoslavia, costruiti su progetto tedesco.

Tra
il 1941 e il 1943 furono costruite in Italia poco più di un centinaio
di unità antisommergibili con enormi sforzi e sacrifici da parte
della nazione.
I cantieri commissionati, alla costruzione di tali unità, oltre
i Cantieri Baglietto, erano i Cantieri Ansaldo di Genova, che apportarono
alcune lievi modifiche al progetto Baglietto, Cantieri Picchiotti (Limite
d'Arno), Navalmeccanica (Castellammare di Stabia), Cantieri Soriente (Salerno)
e Cantieri Celli (Venezia).
Le attività delle motosiluranti italiane furono notevoli durante
il conflitto; esse operarono esclusivamente nel Mediterraneo. Le perdite
subite furono sensibili, specialmente a partire dal 1943, per effetto
della sempre crescente pressione aerea avversaria nel Mediterraneo.
Negli avvenimenti che seguirono immediatamente l'armistizio andarono perdute
parecchie unità. La quasi totalità di quelle ai lavori nei
porti settentrionali furono sabotate o catturate dai tedeschi, le rimanenti
raggiunsero i porti del sud controllati dagli Alleati.
La vedetta antisommergibile da noi esplorata fu varata, presumibilmente
nel 1941, da uno dei Cantieri Liguri. Aveva una stazza di circa 90t.,
lunghezza 34 metri, larghezza 5 metri e poteva raggiungere la velocità
di circa 20 nodi e 26 uomini d'equipaggio.
Era dotata di un forte numero di bombe torpedini da getto, apparati idrofonici
e due lanciasiluri da 450mm. Inoltre aveva sulla parte prodiera una mitragliatrice
Breda da 6,5 mm.
Scendere su un relitto in cui si possono toccare con mano le vicende belliche
è il motivo che mi spinge ogni volta a tornare laggiù per
poter vedere con i miei occhi ciò che è successo in tempi
ormai lontani, anche nelle menti di chi tali vicende le ha vissute personalmente
o conosco per sentito dire o perché letto sui libri di scuola.
Il fascino di uno scafo affondato è il potere osservare quello
che il suo grande custode, il mare, vuole mostrare. Poter ascoltare i
sussurri che ogni piccolo oggetto apparentemente privo di significato
pronuncia nel silenzio di un mondo che sembra essersi fermato al momento
dell'affondamento.
Il relitto giace in perfetto assetto di navigazione e nelle giornate di
buona visibilità lo si vede apparire dal blu nell'interezza del
suo scafo in una immagine suggestiva.
Le prime immersioni ci hanno rivelato nulla o poco dello scafo che stavamo
esplorando ed il suo lungo oblio negli abissi poco ci aiutava ad identificare
qualcosa della sua storia.
Abbiamo passato tutto l'inverno ad esplorare questo scafo di così
grande mistero, con numerosi tuffi, a volte infruttuosi a causa delle
avverse condizione meteomarine.
In una delle tante immersioni, un oggetto a forma di campana, ha attirato
la nostra attenzione.
Era la parte di un pezzo unico con l'argano di prua e il lavoro di recupero
è stato piuttosto faticoso. In una lunga immersione Camillo, Lorenzo
Del Veneziano e Lorenzo Dattola, hanno riportato alla luce un oggetto
costruito dall'uomo sessant 'anni prima o forse più.
Speravamo che sulla campana ci fosse un nome o una sigla che potesse dare
alla nave la sua giusta identità e potesse fornirci notizie certe
sulla sua sventurata sorte.
Le nostre speranze andarono deluse quando, dopo la pulizia dalle molte
ostriche e microrganismi che sulla campana avevano trovato la loro fissa
dimora, il bronzo splendeva senza nessuna incisione sulla sua superficie.
Si decide allora di organizzare una spedizione finalizzata ad un'attenta
documentazione foto-video, ad una ricerca accurata negli archivi storici
per potere restringere il cerchio a poche unità.
Cominciano perciò le ricerche sui libri e i numerosi colloqui con
chi poteva conoscere i disegni di progettazione di questo tipo di unità
navale.
Sicuramente si trattava di una piccola nave da guerra, lo scafo affilato
e stretto, lo faceva rientrare nelle motosiluranti. Di quale classe?
Durante l'inverno le visibilità, a volte eccezionali, ci hanno
mostrato dei particolari utili alla sua identificazione. Sono ben visibili,
infatti, la mitragliatrice, adagiata sulla coperta della nave, i resti
di una bomba di profondità e gli scivoli che servivano per lo sgancio.
Con materiale video e molte foto ci facciamo ricevere in marzo dai Cantieri
Baglietto di Varazze, nella persona del dirigente Gianpiero Benvenuti,
il quale rimane a nostra disposizione per l'intera giornata.
Con Benvenuti sfogliamo molti volumi d'archivio, dove troviamo foto e
molte notizie storiche delle unità che ci interessano. Dalle foto
e dalla visione del video, Benvenuti riconosce molti oggetti che sono
notevolmente somiglianti a quelli usati dal Cantiere durante la guerra
nella costruzione dei VAS. Una prova ulteriore che si tratti di un' unità
veloce da guerra italiana è fornita dal materiale del quadro elettrico:
ardesia. Benvenuti ci spiega che solo i Cantieri Baglietto e di seguito
i Cantieri Ansaldo usavano l'ardesia per il pannello elettrico.
Il cerchio si restringe, da un numero indefinito di motosiluranti siamo
passati ad una decina di unità appartenenti senza alcun dubbio
o alla classe 200 o alla classe 300.
Naturalmente la corrosione su tutto lo scafo portata da sessant'anni di
vita sottomarina non permettono un' identificazione certa della sua sigla.
Dobbiamo trovare un indizio, un qualsiasi segno identificatore!
Nelle settimane antecedenti i giorni della spedizione, fissata per la
fine di giugno, Rizia, esperta subacquea Trimix, appassionata, come noi
di " misteriose " navi affondate,dedica gran parte delle sue
giornate all'archivio storico della marina a Roma, nella speranza di trovare
qualche notizia in più su questa nave che sembra essere stata abbandonata
nel suo oblio.
Le sigle per ora si riducono a 236, 302, 306, 307.
Arrivano i giorni della spedizione, 24/25 giugno 2002, che grazie all'aiuto
di alcune fra le più importanti aziende della subacquea è
risultato essere un successo in termini di qualità, modalità
e tipologie di immersione.
Il programma prevedeva quattro immersioni in miscela normossica con tempi
di fondo di 20 minuti e decompressione in ossigeno puro e/o nitrox.
Tutti i partecipanti alla spedizione, undici persone, avevano compiti
precisi durante le immersioni finalizzate a fornire una documentazione
foto- video sufficientemente esauriente e a fornirci ancora qualche notizia.
Durante i numerosi tuffi, il misterioso relitto che aveva deciso di mostrarsi
all'uomo dopo essersi perso nella polvere dei secoli, come un'affascinante
donna che è restia a mostrare il suo volto, a voluto farci vedere
ancora un'po' di sé.
Le condizioni meteomarine di quei giorni sono state eccezionali e questo
ci ha permesso di effettuare le immersioni in assoluto relax e spirito
di cooperazione.
La seconda immersione è stata forse la più bella per le
emozioni che ha suscitato in tutti noi.
Dalla visione di parte del video di Luca Giordani notiamo disteso sul
ponte di comando, lato di sinistra e quasi totalmente coperta da altri
detriti,lato di sinistra un oggetto la cui forma attira immediatamente
il nostro interesse. Sembra un casco da palombaro.
Possibile ?
Incuriositi ed emozionati programmiamo la discesa del pomeriggio. I primi
a scendere sono Davide, Fabrizio e Massimo, con il compito di osservare
lo strano oggetto... L'attesa è di circa 45 minuti, durante i quali
non si sono sprecate le supposizioni e le congetture, ma soprattutto l'entusiasmo
e l'agitazione nel poter osservare qualcosa che era stato di utilità
a uomini come noi, durante le lotte per la sopravvivenza contro un avversario
probabilmente mai visto.
Finalmente i tre sub riemergono, Davide per l'emozione non riesce quasi
a parlare, sta solo ridendo e ci comunica che è una bussola, completamente
integra e solo mancante del vetro!!!
Io e Lorenzo ci prepariamo per l'immersione per poter immortalare con
uno scatto fotografico quell'oggetto che nei giorni terribili della guerra
ha guidato l'equipaggio della motovedetta sui mari del Mediterraneo in
cerca di sommergibili nemici da affondare.
Arrivati ad una decina di metri dal ponte di coperta, guardiamo incuriositi
nel punto indicatoci da Massimo e Davide. Eccola!
Pulita dai detriti, la sua forma è inconfondibile è proprio
una bussola!
Dalle notizie storiche in nostro possesso sappiamo che questo tipo di
vedette avevano due postazioni di comando, una a cielo aperto e una sotto
coperta in un ponte costruito in legno. Questo è il motivo per
cui non abbiamo identificato il ponte di comando.
Nelle successive immersioni abbiamo identificato il faro di segnalazione
notturna, il caricatore a banana della mitragliatrice Breda e il telegrafo
di macchina. Tutti questi oggetti si trovano con chissà quant'altri,
sul ponte della nave in una visione confusa e drammaticamente disordinata
che testimonia i terribili momenti dell'affondamento, delle urla di dolore
di chi si trovava a bordo ed era consapevole che non c'era più
speranza. Tutta la nave è testimone tangibile dei violenti bombardamenti
subiti da Genova e degli ingenti danni che questi hanno provocato.
Le due giornate di immersioni si sono concluse con ancora una piccola
porta da aprire: l'ingresso negli alloggi e nella cabina del comandante
dove si potrà forse trovare quello che svelerà il mistero
di questo relitto di così grande fascino.
Il Telegrafo di Bordo
L'IMMERSIONE VISTA DA LORENZO DEL VENEZIANO
Aria o miscela?
Sicuramente la profondità massima limitata ai 51 metri permette
l'uso dell'aria compressa in un margine di adeguata sicurezza. Questo
non vuol dire che l'immersione debba essere presa con leggerezza o che
possa essere svolta da tutti i subacquei. Il tipo di immersione è
rivolta a subacquei esperti di immersione profonda e sui relitti.
Vista la profondità comunque già impegnativa il tempo di
fondo seppur breve porterà ad accumulare decompressione.
A vantaggio di sicurezza io consiglierei, anche se l'immersione si svolge
in aria compressa, un equipaggiamento tecnico. Minimo bombola con doppio
attacco, meglio un bibombola con una decompressiva di ossigeno o di nitrox.
Vivamente consigliati un pallone di segnalazione ed un reel.
Alla
profondità di 50 metri, gli effetti negativi della narcosi d'azoto
potrebbero già farsi sentire e l'ideale per debellarli totalmente
può essere l'uso di una miscela normossica, formata dal 21% di
ossigeno puro ed il 20% di elio, che portano il livello narcotico ad una
profondità di circa 34 metri. Con tale lucidità mentale
l'immersione, anche in condizioni di visibilità ridotta,viene svolta
in assoluta sicurezza e tranquillità.
Il relitto giace in assetto di navigazione e la discesa diretta nel blu,
viste le sue dimensioni ridotte, nelle giornate di buona visibilità
ce lo fa apparire nella sua interezza già intorno ai 30 metri.
Arrivati sul ponte si inizia il giro di perlustrazione verso la parte
di poppa sfondata e infossata nella sabbia. Sono ancora visibili i resti
disordinati delle protezioni del cannoncino di poppa e della bomba di
profondità ormai allagata, minacciosamente appoggiata sul lato
di dritta, come se dovesse essere pronta allo sgancio. Vicino sono ben
distinguibili i resti dei supporti per il battello di salvataggio, dove
a gelosi custodi si vedono solitamente due fieri scorfani.
Ci avviciniamo ora all'ingresso della sala macchine molto stretto ed angusto,
dove facendo capolino e puntando una potente torcia all'interno possiamo
distinguere distintamente i grossi motori in linea d'asse e due piccoli
compressori che dovevano servire presumibilmente per l'avviamento. Sulla
volta gli osteriggi intatti lasciano filtrare suggestivi fasci di luce,
offrendo al subacqueo una visione quasi irreale.
Girando
lo sguardo verso poppa ci appaiono dal buio della sala macchine il quadro
elettrico con i bianchi fusibili ben distinti e le maniglie dei potenziometri
fermi e pronti ad essere avviati. Su ogni lato possiamo distinguere nettamente
le numerose lampade con ancora le lampadine all'interno. Il buco della
sala macchine è un 'ottima dimora per corvine e grossi gronghi
che lì hanno fatto il loro fisso insediamento, testimoni omertosi
dei segreti nascosti nei luoghi più angusti dello scafo. Finita
la perlustrazione della sala macchine, proseguiamo verso la parte prodiera
dove la prua sottile ci appare in tutta la sua fierezza, protesa verso
la superficie, a monito di una sconfitta non ancora avvenuta. Nella parte
di prua vi sono due linee di osteriggi ancora tutti con gli oblò
e i vetri integri. Nella zona dove vi era il ponte di comando scopriamo
la bussola con un piccolo granchio al suo interno, il faro di segnalazione,
il telegrafo di macchina, la seconda bussola, in condizioni migliori della
principale e le due luci di via, che illuminate dalle torce fanno apparire
un forte colore rosso fuoco provocato dai vari microrganismi insediatisi
sulla loro superficie.
Diametralmente opposta troviamo adagiata sul ponte la mitragliatrice Breda,
con accanto il suo piedistallo ed il caricatore a banana gelosamente nascosto
ed incrostato con gli altri oggetti.
Sul punto estremo della prua vediamo il grosso argano che serviva per
il recupero dell'ancora e uno sfiato a mare si affaccia un piccolo grongo,
timidamente incuriosito da chi non invitato disturba la quiete della sua
dimora. A questo punto possiamo uscire dalla nave e godercene la visione
frontale dal basso verso l'alto.

Ai lati
della prua sono visibili l'occhio di cubia e gli oblò delle cabine
con i vetri intonsi, un vano che resta ancora un totale mistero. Possiamo
raggiungere la cima di risalita e avere così la visione della nave
che lentamente si allontana ai nostri occhi per nascondersi nell'intenso
blu del mare.
SCHEDA TECNICA
SCAFO MISTO CON CARENA NORMALE
DISLOCAMENTO CIRCA 90T
DIMENSIONI LUNGHEZZA 34,1 MT
LARGHEZZA 5 MT
IMMERSIONE 2,1 MT
APPARATO MOTORE 1 MOTORE A SCOPPIO ISOTTA FRASCHINI
2 MOTORI A SCOPPIO CARRARO
3 ELICHE
POTENZA COMPLESSIVA 1100 HP
VELOCITA' MASSIMA 19 NODI
COMBUSTIBILE 8T
ARMAMENTO 2 LANCIASILURI AD IMPULSO LATERALE DA 450MM
1 / 2 MITRAGLIERE BREDA DA 20/65MM
2 FUCILI MITRAGLIATORI BREDA DA 6,5 MM
1 TORPEDINE DA RIMORCHIO DA 75 KG
2 TRAMOGGE PER 30 B.T.G. DA 104 KG
EQUIPAGGIO 26 UOMINI

I PARTECIPANTI ALLA SPEDIZIONE
Bacchetta Eva, Bozzo Gianluca, Croce Massimo, Dattola Lorenzo, Del Veneziano
Lorenzo, Demoro Fabrizio, Giordani Luca, Ortolani Rizia, Tutino Andrea,
Piga Maurizio, Vecchi Davide.
SUPPORTO
LOGISTICO E ASSISTENZA

Traverso
Stefania (a
destra)
Dimagli Pietro
SPONSOR Si ringrazia:
DIVE SYSTEM fornitura jacket e mute
FA&MI fornitura torce
DIVE TECHNICAL CENTER fornitura bombole

DISTILLERIE
DURBINO
Un particolare ringraziamento a:
Rizia
Ortolani per la ricerca e la disponibilità

Luca
Giordani per le riprese video
Gianluca Bozzo per l'aiuto e l'interessamento

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